lunedì 19 agosto 2013

La scuola dei disoccupati - Joachim Zelter


La scuola dei disoccupati è libro che non può piacere a tutti. Parla di un argomento, la disoccupazione, che è comprensibile solo a chi ci è stato esposto, in prima persona o tramite conoscenti, e lo fa con uno stile che non mi sarei aspettato con un tema che si presta a grandi tragedie umane.
Ma veniamo al libro.

La scuola a cui ci si riferisce nel titolo si chiama SPHERICON ed è uno dei centri per la formazione dei disoccupati in collaborazione con l'Agenzia Federale per il Lavoro. Siamo nella Germania del 2016, con 10 milioni di disoccupati. Il libro è stato pubblicato nel 2006, quindi potremmo dire che è una storia distopica. I prodromi della crisi forse si intravedevano già allora, forse, ma sappiamo che oggi la Germania continua a essere la locomotiva d'Europa (questo appellativo, tra l'altro, fa molto '800). Nel libro non è così: ci sono 10 milioni di problemi e il governo federale ha tutto l'interesse a rimettere l'economia in carreggiata. È stato da qualche tempo introdotto un nuovo tipo di statistica, dove non si tratta più di percentuali ma di oscillazioni fisiologiche e flussi - non ricordo bene la parola esatta, ma il concetto è più o meno quello - e sono state create delle scuole dove si colmano le lacune degli aspiranti lavoratori. Solo che queste non sono, come si potrebbe pensare, scuole professionali. L'unica professione che insegnano è proprio quella del cercatore di un posto di lavoro, perché anche questo, come viene ribadito più volte, è un lavoro.

Le materie insegnate, giusto per darvi un'idea, sono le seguenti: inglese, candidatura, rielaborazione biografica. L'inglese non è una scelta banale. Gli insegnanti alternano inglese e tedesco con il fare fastidioso di chi introduce il business english in una conversazione da caffè. È un inglese che non servirà a nulla, se non a presentare un CV bilingue e dare maggiore consistenza alla candidatura in fase di colloquio. La terza materia che ho citato, la rielaborazione biografica, si spiega da sola. Chi è interessato a un CV pieno di buchi, senza passione né colpi di scena, senza il fascino di, che so, un paio d'anni passati a fare la guida turistica sulle Ande? A SPHERICON viene insegnato che la realtà non c'entra nulla con un CV. E non è neanche la cosa peggiore. L'unico scopo di questa scuola è di migliorare le capacità dei candidati, non delle persone, di creare figure vincenti in fase di selezioni, una sorta di eroi per una nazione sempre più sull'orlo del collasso occupazionale. L'Agenzia ha infatti ideato la serie televisiva Job Quest, in cui il protagonista di turno riesce, dopo una serie di imprese rocambolesche, a conquistare il posto di lavoro.
Quanto agli altri:

"[...] diremo loro che sono disoccupati, nient'altro che disoccupati e che la disoccupazione è intollerabile, contro natura, antisociale e disumana."

C'è una ragazza che rientra in questa categoria, Karla, l'unica che emerga dal coro di CV. L'unica che a un certo punto, quando spunta un'unica opportunità di lavoro reale, si rifiuta di candidarsi, diventando fra l'altro oggetto di studio da parte dello psicologo della scuola. Si chiama Karla ed è un esempio di quella categoria di persone che non hanno lavoro né lo cercano - credo abbiano un nome, se ne parlava in questi anni. Ecco, il suo caso è particolare perché si percepisce il disagio esistenziale della ragazza-non-più-tanto-giovane e la sua inerzia dà un po' sui nervi, però rende bene l'idea, per contrasto, dell'apparente assurdità di ciò che viene insegnato a SPHERICON. Anche lo psicologo, che ho citato di sfuggita, è un caso esemplare, poiché i suoi studi somigliano alla lontana alle teorie di certi naturalisti dell'ottocento, secondo cui fattori fisici (per esempio la morfologia del cranio) determinano l'indole di una persona.

Il problema è che, al di là di tutte esagerazioni, la candidatura in sé è un momento davvero importante. In certi ambiti lavorativi forse conta davvero molto più la presentazione che la sostanza, e non è insolito che il CV sia predisposto in modo da far risaltare personalità e competenze che magari non il candidato non padroneggia affatto. Su internet si trovano persino consigli su come rispondere in modo "giusto" alle domande motivazionali e quelle del tipo: «Mi dica tre suoi punti di forza e tre difetti.»
Insomma, la categoria del vincente, di quello che si-sa-vendere, non è un'invenzione di Zelter. Credo che sia riduttivo considerare La scuola dei disoccupati un libello anti-Merkel (o altri), anche se in alcuni momenti sembra proprio che proponga idee e discorsi di un'attualità disarmante.

Trovo giusto spendere due parole sullo stile, dato che vi ho già raccontato praticamente tutta la trama. La trama, in realtà, non è rilevante. Le emozioni sì, tanto la loro presenza quanto la loro mancanza.
Così troviamo a pagina 63:

"Se venisse scritto un libro su SPHERICON, non ci sarebbero uomini in carne e ossa, e neppure raffigurazioni di uomini, ma al massimo fragmenti o figmenti di curricula cangianti [...] La lingua adottata sarebbe quella di SPHERICON: breve e concisa, un linguaggio didascalico. Azioni e commenti ridotti a stringate didascalie."

Ho sorriso quando ho letto questo stralcio. La scelta di spiegare le scelte stilistiche operate dall'autore mi è parso un mettere le mani avanti a chi, a un terzo del libro, è probabilmente già pronto a criticare la carenza di mostrato e quant'altro. Zelter, che dire, fa una scelta impegnativa (ma consapevole, è pur sempre professore di letteratura) e tutto il libro è scritto in questo modo. Questa è la seconda ragione per cui potrebbe non piacervi, anche se siete interessati all'argomento. Per cui, prima di acquistarlo, vi consiglio di sfogliare qualche pagina. A me è piaciuto perché l'ho trovato funzionale alla storia e privo di sbavature, salvo forse il finale un po' sbrigativo - ma qui mi fermo.

Certo è che l'editrice ISBN, di cui ho letto giusto un paio di titoli, non è nuova a pubblicare narrativa lontana dai canoni, o addirittura sperimentale. Anche se questi autori spesso ricevono più critiche, leggere una storia raccontata in modo diverso dal solito può valere il tempo speso - che non è poi molto.

16 commenti:

  1. Forse un tema come quello della disoccupazione si può affrontare solo in un modo sperimentale così che la sperimentazione crei un distacco fra il romanzo e noi che siamo (tristemente) troppo influenzati da questo tema. Non avendo letto il libro non so se in questo caso sia davvero così, dal post mi ha dato questa impressione... dimmi tu se sbaglio! :)

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    1. Il distacco c'è di sicuro! Non so se esista un modo migliore di affrontare l'argomento, io l'ho trovato efficace. Se scorri gli annunci di lavoro in alcuni settori, sembra proprio che interessi il tipo di candidato uscito da SPHERICON - per fortuna a me non è capitato, ma potrebbe. Sinceramente non so se riuscirei a interpretare la parte.

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  2. In qualità di neo-disoccupato - e presumibilmente destinarlo a rimanerlo a lungo o per sempre - debbo ammettere tutto il mio orrore nel leggere di luoghi come SPHERICON dove cercano in qualche modo di normalizzarti per farti entrare nel mondo del lavoro. Lo so, ovviamente, che ormai è questa la regola ma, quando mi capitava di leggere i CV dei giovani in cerca di un lavoro in una libreria, rimanevo sempre stupito che solo molto raramente apparisse una banalità apparente come: «Amo leggere». Possibile che nessuno si preoccupasse di immaginare il proprio ruolo in un posto come una libreria? Grazie, comunque, per la segnalazione, inserisco il libro tra i papabili per il mio prossimo giro in libreria.

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    1. Se ti capita, poi fammi sapere! Nel peggiore dei casi, ti ho fatto spendere solo 7 euro.

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    1. Vero! Un paio di idee racchiuse in questo libretto lo sono davvero - non vorrei vivere in quel mondo.

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  4. Aspettavo questa recensione ed è stato un piacere leggerla.
    La disoccupazione è decisamente meno piacevole, ma io non corro questo pericolo perché io avrò sempre lavoro da fare (che poi sia quasi tutto non retribuito è un misero dettaglio, vero?).

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    1. Non è un dettaglio, ma purtroppo c'è chi non ritiene di dover retribuire il lavoro altrui.

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    2. Me ne sono resa conto a mie spese...

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    3. Sei una vittima di una linea di pensiero che non premia il (buon) lavoro. Spero troverai più soddisfazioni in futuro! ^^

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  5. Ho fatto un sacco di colloqui nella mia vita, li ho fatti sia da una parte che dall'altra della scrivania. Non c'è una scuola che possa insegnarti a scrivere un buon CV o ad affrontare al meglio il colloquio: chi ti riceve ne ha già visti decine uguali a te.
    Sul "Mi dica tre suoi punti di forza e tre difetti» posso invece confermare che è vero, ma solo (per quanto ne so) negli USA.
    Nel 2007 ho fatto un colloquio con un'azienda americana. Il primo colloquio era telefonico (puoi immaginarti il panico), per l'eventuale secondo colloquio avrei dovuto prendere un aereo. Ebbene, un'amica mi aveva suggerito di preparare una serie di risposte a delle domande che per gli americani sono standard: una di queste riguardava appunto pregi e difetti, poi ce n'era un'altra del tipo "come ti vedi tra cinque anni", poi altre che adesso non ricordo. Ti giuro che al colloquio mi fecero esattamente le domande che mi ero preparato!!!!

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    1. Ottimo!
      La variante per contratti a termine è: "Come ti vedi tra un anno?"
      Per fortuna ho sempre trovato selezionatori che mi hanno messo a mio agio - nei limiti della mia comprensibile agitazione. Però da un amico figlio di selezionatore so che esistono anche pratiche di colloquio di gruppo che degenerano in vere e proprie azioni di guerriglia tra candidati! ^^

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  6. Ho letto le prime pagine in libreria e le ho trovate stranamente "accalappianti". Lo stile era davvero particolare, come hai scritto, eppure proprio non riuscivo a smettere di andare avanti. Ho posato il libro dopo una decina di pagine, con molti dubbi. Non so se lo leggerò mai, ma la mia precedente esperienza e la tua opinione mi danno di che pensare.

    Io per ora, come sai, studio. I colloqui, però, mi mettono già un po' d'ansia... anche perché l'unico curriculum che io abbia mai provato a scrivere, su LinkedIn, mi fa pensare di non avere praticamente alcuna voce degna di nota. Finito di scriverlo ho sentito l'urgenza di cercare subito qualcosa da fare!

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    1. È forse un tantinello prematuro pensare al tuo CV. Se ti può consolare, io ci ho messo circa 4 giorni a scriverlo (ma l'ho fatto solo dopo la laurea)!

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    2. Nah, io sono nervosissima quando si parla di lavoro, se mi preparo con largo (larghissimo, immenso) anticipo riesco a sfogare lo stress e a presentarmi in maniera tranquilla, amichevole e sicura :)

      E poi non è che ci fosse molto da scrivere, al momento. Corso di laurea, esperienze, lingue parlate. Qualche informazione sul mio modo di pormi. Ho cercato CV online, consigli vari, e poi ho passato la giornata a scriverlo o a pensarci! Però ora ce l'ho e sono già più tranquilla, non si sa mai!

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    3. Prepararsi in anticipo può non essere una cattiva idea. Un mio ex collega diceva: "bisogna sempre essere pronti!"
      O almeno avere un piano B.

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