martedì 23 ottobre 2012

George R. R. Martin: The Dying of the Light

C'era una volta un ventinovenne americano, giornalista e scrittore part-time, che già aveva vinto almeno un premio Hugo con il racconto Una canzone per Lya. Negli anni a venire, avrebbe scritto racconti e romanzi di fantascienza.
L'autore in questione è George R. R. Martin, felicemente noto per la sua saga fantasy, A Song of Ice and Fire, e dalla serie TV da essa derivata, Game of Thrones. Martin ha una larga base di fan, tra cui il sottoscritto, ma eviterò di parlare dei Sette Regni.
Parlerò, invece, del suo primo romanzo.


In fondo il buio

Immaginate la nostra galassia, la Via Lattea. Man mano che ci si avvicina al bordo, diminuisce la densità di stelle e di pianeti. Il cielo è più buio e la probabilità di trovare un pianeta abitabile sono prossime allo zero. Esiste una zona, il Margine, relativamente appartata rispetto ai mondi colonizzati dagli umani, dove si trovano quattordici civiltà che sono cresciute mentre il vecchio impero terrestre crollava sotto il peso di una doppia guerra. Oltre a questi pianeti esiste un sistema stellare composto da ben sette stelle: il Mozzo, o Grasso Satana, una gigante rossa, e sei stelle più piccole che le ruotano intorno. Ora, caso vuole che un pianeta vagabondo, slegato da qualsiasi stella, percorra un'orbita attraverso il Margine che lo porta in prossimità del Mozzo per un periodo di circa un secolo, in cui sarà abitabile. Le quattordici civiltà del Margine decidono di cogliere la palla al balzo e terraformare il nuovo pianeta, che per una decina d'anni diventerà la sede di un Festival all'insegna dell'effimero e dello sperpero. Ciascuna civiltà edifica una città, con le sue peculiarità che riflettono la cultura di appartenenza. Ci muoviamo così da una fortezza scavata nella roccia a un parco giochi automatizzato, a dei ruderi piuttosto lugubri, perfetti per i suicidi.
La storia è ambientata qualche anno dopo il Festival, quando oramai sul pianeta vivono pochi individui e il pianeta stesso si avvia verso l'uscita dal tanto spettacolare quanto contingente sistema solare.
Siamo, in altre parole, al crepuscolo di un mondo.

La trama del romanzo è meno affascinante dell'ambientazione. Si tratta del solito triangolo amoroso, con qualche modifica suggerita dall'ambientazione. I personaggi principali, infatti, provengono da culture diverse: Dirk, il protagonista, e la sua amata Gwen provengono da Avalon, uno dei pianeti dell'ex impero terrestre, divenuto dopo la guerra un importante centro culturale; il terzo incomodo, Jaan, e molti dei personaggi secondari sono di Alto Kalavan. La civiltà di Alto Kalavan è indubbiamente la più interessante fra quelle presentate, poiché il pianeta è suddiviso in quattro grandi clan-nazioni, eredi di mezzo millennio di guerre.
La tradizione, per i Kalavar, è assai importante. La famiglia, per esempio, non esiste e ogni cosa è subordinata al clan. L'unità base del clan è costituita da un legame di amicizia tra due uomini, teyn, mentre le donne sono proprietà comune a tutti, con l'eccezione di quelle provenienti dall'esterno. Una donna catturata ad altri clan, o trasferitasi da un altro pianeta, porta il nucleo base Kalavar a tre individui e ne permette l'avanzamento sociale. Jaan, per il solo fatto di essersi legato a una donna di Avalon, si è ritrovato capoclan al ritorno in patria. Bisogna però dire che Jaan ama realmente Gwen, anche se ciò è in contrasto con le profonde credenze del suo popolo e del suo teyn.
Ci sono, ovviamente, anche Kalavar più integralisti, meno pronti a essere tolleranti nei confronti del nuovo arrivato Dirk e degli altri stranieri presenti sul pianeta.

Il confronto/scontro fra civiltà, che ha luogo in uno scenario pittoresco e crepuscolare, è debitore della fantascienza classica, che Martin ritocca, pur senza stravolgere. Nel complesso, è stata una lettura piacevole che però è ancora lontana dalla maturità artistica. Nel passaggio dai racconti al romanzo, l'autore è un po' troppo prolisso e le situazioni sono a tratti confuse. Ciononostante, l'ambientazione è convincente e intrigante. I personaggi sono solidi, salvo forse il protagonista che mi era antipatico (tifavo per l'altro).  La povera Gwen, a differenza di altre donne nel suo ruolo, sembra avere un carattere e non si limita a buttarsi tra le braccia del primo venuto.
In conclusione, è un libro che mi sento di consigliare ai fan dello zio Martin che non hanno paura di allontanarsi dai Sette Regni. Chi legge fantascienza da anni potrà comunque trovare piacevole una trama classica ma un po' svecchiata, anche se ancora un po' acerba.

5 commenti:

  1. Lo lessi molti anni fa, ma mi sono affezionato profondamente al libro, non tanto per il personaggi - esili come promesse - o per i dialoghi e le riflessioni - prolisse e confuse - ma proprio per l'ambientazione così profondamente "aliena" e per il fatto di svolgersi su un pianeta in scadenza, come un'acqua minerale. Ne conclusi ciò che scrivi, che Martin fosse un autore interessante ma ancora immaturo. Poi il nostro divenne un importante autore di fantasy e smisi di seguirlo. Purtroppo non amo il genere,

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    1. Decisamente il pianeta prevale sui personaggi. In effetti a un certo punto si è dedicato alle saghe e ha un po' abbandonato la fantascienza, salvo forse qualche racconto.

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  2. E' tanto che non prendo più libri della Gargoyle, dovrò rimediare.

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  3. Non lo conoscevo... interessante :)
    Vedo di procurarmelo.

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